TUTTO CHIEDE SALVEZZA: Come se finisse il mondo…

Tasti di un pianoforte scordato

“Tutti noi siamo persone, non tasti di pianoforte. Nessuno può trattarci come se fossimo tasti di pianoforte. Nessuno può schiacciarci per suonare la musica che piace a loro.” (Fedor Dostoevskij)

Lo spunto per scrivere questo breve articolo su questa serie da me vista quest’ anno mi arriva da qui. Da questa frase che ai miei occhi “suona” ( non a caso) come una necessità. La necessità di disobbedire a chi crede ad un ordine a volte difficile e doloroso di tasti bianchi e neri che suonano spartiti codificati e socialmente rassicuranti. E invece no! Per qualcuno suonare questi semplici spartiti è un incubo ed allora tirano fuori la loro follia, la loro musica dodecafonica.

Roland Laing,, padre putativo ( anche se riluttante ad ammetterlo) dell’ antipsichiatria, sosteneva che la malattia mentale era spesso una necesaria autodifesa Un viaggio, una fuga sciamanica con cui può salvarsi da contesti ( umani o familiari) devastanti e tornare più saggio e piu’ centrato di prima.

Ecco, questo è quello che è accaduto a molti dei protagonisti di questa serie.

Tutto chiede salvezza!

“Tutto chiede salvezza” è una storia di TSO visto dagli occhi di un ragazzo di periferia. Lo scorrere della sua vita entra prepotentemente nella nostra mettendo in discussione la nostra “normalità” o presunta tale. Ci mostra che “anche gli psichiatri piangono” e soprattutto che hanno dei problemi e grossi. Ci pone faccia a faccia con la morte, in un modo dolce. Una morte che plana come un uccellino che si stacca dal nido quando impara i rudimenti del volo. Uno zoo di vetro in cui nuotano personaggi magari con qualche stereotipo ma senza dubbio struggenti che spremono la nostra “pietas” ma non lo fanno in maniera ruffiana.

Una storia con vari riferimenti ( divertenti e mai pesanti” ) alle ship of fools, ossia le navi dei folli dove la società mercantile e calvinista inglese confinava i matti ,i diversi, gli scomodi fino a mandarli alla deriva, a vederli presumibilmente mangiarsi tra di loro. Ma gli “eroi” di questa serie no. Non si divorano e non vogliono divorare te. Vogliono solo salvare loro stessi da un naufragio per approdare su un’ isola nuova, ben diversa dalla realtà strangolante che era stata data loro in sorte.

I “matti ” tra il reale e l’immaginario

Nella sua canzone intitolata didascalicamente “I matti”, Francesco De Gregori dice chiaramente che non ha esperienze della malattia mentale. Tuttavia coglie in pieno l’essenza di un certo esperire schizofrenico, di un certo distacco totale del reale ma anche dell’ immaginario.

Il protagonista, ma anche gli altri protagonisti di questa storia sono persone che pensano a un treno che non arriva, che forse è arrivato e non torna. O che forse ha subito un attentato in chissà quale stazione dell’ esistenza ed è deflagrato in modo orrendo. O forse è stata una bufera a strappargli ( o a fargli strappare) la quotidianità, a volte nel modo peggiore.

Ed ecco che Madonnina, Alessandro e gli altri “naufraghi”diventano l’equipaggio che a noialtri normali ci spaventa di più. I fuochisti ( perdonatemi se cito ancora De Gregori) sporchi di fuliggine che ci terrorizzano perchè noi crediamo di avere il cervello in prima classe, figuriamoci se vogliamo sporcarci la mente! E invece “Tutto chiede salvezza” ci sporca la mente e le mani. Ci fa percepire che un giorno, per motivi imprecisati e per questo ancor piu’ inquietanti, su quella ship of fools potremmo finirci noi. E disumani come siamo diventati ci mangeremmo tra noi senza più nessuna solidarietà.

“Tutto chiede salvezza” è quindi un viaggio di quelli rischiosi, quelli che facevano i viaggiatori veri. Un viaggio attorno al mondo del nostro cervello, fatto però come se il mondo dovesse finire da un momento all’altro. Ed è questo, parafrasando un bellssimo testo di Eugenio Borgna, il senso della follia e dell’ esperienza schizofrenica. Ed è anche il senso che può avere un TSO, parentesi amara e settimana di passione dei pianoforti scordati, dei pianoforti ribelli che non vogliono suonare lo spartito che la società, in frac e pailettes, vuole sentire nel suo salotto buono della normalità.

Marco Giannini